Avvocato Domenico Esposito
 

 

NONNI E PROCEDIMENTO DI DIVORZIO, INTERVENTO NON AMMESSO, ALTRE FORME DI TUTELA E MODALITA’ APPLICATIVE DEL GIUDICE

Già con la sentenza 364/1996 la cassazione aveva sancito l’inammissibilità dell'intervento dei nonni o di altri familiari nel giudizio di separazione dei coniugi.
Ciò poiché oggetto del giudizio di separazione è l'accertamento delle condizioni per autorizzare i coniugi a cessare la convivenza e determinare gli effetti di tale nuova condizione (nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e verso i figli).
Secondo questa impostazione, in capo ai nonni non sono ravvisabili diritti relativi all'oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo, che possano legittimare un loro (ai sensi del primo comma dell'art. 105 c.c.), né interesse di terzi a sostenere le ragioni di una delle parti sul quale fondare un intervento ad adiuvandum (ai sensi del secondo comma dell'art. 105 c.p.c.).
Insomma, i nonni non sono portatori di un interesse proprio nel processo di separazione dei genitori ma rappresentanti di un diritto dei minori, sostenuto nel processo sia dai genitori che dal pubblico ministero, il cui intervento è obbligatorio.
I nonni potranno, sollecitare il controllo giurisdizionale, ai sensi dell'art. 336 c.c., sull'esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza un motivo plausibile impedire i rapporti dei figli con detti congiunti.
Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con i nonni e gli altri congiunti va tutelato dal giudice mediante i suoi provvedimenti, da adottare nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata, e tale apprezzamento va svolto sulla base non delle deduzioni delle parti, nonché dell'apporto fornito dal pubblico ministero e degli altri elementi acquisiti di ufficio.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE I CIVILE

Sentenza 1 luglio - 16 ottobre 2009, n. 22081

(Presidente Luccioli - Relatore Dogliotti)

Svolgimento del processo

Nel corso del processo di separazione personale tra i coniugi (…) e (…) pendente dinanzi al Tribunale di Perugia intervenivano in giudizio (…) e (…), genitori del ricorrente e nonni dei due figli minori della coppia, deducendo che nonostante in sede presidenziale si fosse disposto l'affidamento condiviso la madre di detti minori impediva di fatto che essi mantenessero i rapporti con i nonni e con i cuginetti.

A seguito dell'eccezione di inammissibilità dell'intervento sollevata dalla resistente (…) il Tribunale in data 8-15 marzo 2007 emetteva sentenza parziale dichiarando inammissibile l'intervento stesso.

L'appello proposto dai soccombenti era accolto dalla Corte di Appello di Perugia con sentenza del 27 settembre - 13 novembre 2007, che negava l'esistenza di un diritto proprio dei nonni tale da legittimare un intervento autonomo o litisconsortile, ma affermava la sussistenza di un interesse giuridicamente protetto dei medesimi che consentiva un loro ruolo attivo nel giudizio nelle forme dell'intervento ad adiuvandum ai sensi dell'art. 105, comma 2, c.p.c..
Avverso tale sentenza la (…) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi illustrati con memoria. (…) e (…) hanno resistito con controricorso. (…) non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 105, comma 2, c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., la (…) censura la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile l'intervento spiegato dai nonni paterni nel giudizio di separazione dei coniugi.

Rileva al riguardo che l'intervento adesivo presuppone la dipendenza del rapporto fatto valere dall'interveniente dalla posizione sostanziale e processuale di una delle parti e l'esistenza di un interesse proprio del terzo e che non è ravvisabile un interesse dei nonni dipendente da quello dell'uno o dell'altro genitore.

Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 155, primo comma, e 155 ter c.c., la ricorrente deduce che la sentenza impugnata non ha considerato che quest'ultima norma, così come l'art. 710 c.p.c., attribuisce solo ai genitori il potere di chiedere la modifica delle condizioni della separazione e che tale disposizione non è contraddetta dalla previsione contenuta nel primo comma riformato dell'art. 155 c.c., che attribuisce soltanto al minore, nel suo esclusivo interesse, il diritto di conservare rapporti significativi con i prossimi congiunti, mentre questi ultimi hanno solo un interesse a che le condizioni della separazione siano fissate in modo da consentire loro di avere rapporti significativi con la prole dei coniugi separandi.

I due motivi così sintetizzati vanno esaminati congiuntamente, in quanto attengono alla medesima questione di diritto.

Il problema della ammissibilità dell'intervento dei nonni o di altri familiari nel giudizio di separazione dei coniugi è già stato affrontato e risolto negativamente da questa Suprema Corte nella sentenza n. 364 del 1996, nella quale si è osservato che oggetto del giudizio di separazione è l'accertamento delle condizioni per l'autorizzazione ai coniugi a cessare la convivenza e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra gli stessi coniugi e nei confronti dei figli: coerente con tale delimitazione dell'oggetto del giudizio è l'attribuzione della legittimazione ad agire esclusivamente ai coniugi, ai sensi dell'art. 150 c.c., e quindi la non ravvisabilità di diritti relativi all'oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo che possano legittimare un intervento di terzi, ai sensi del primo comma dell'art. 105 c.c., o di un interesse di terzi a sostenere le ragioni di una delle parti sul quale fondare un intervento ad adiuvandum ai sensi dell'art. 105, comma secondo, c.p.c..

Si è aggiunto in detta decisione che il nostro ordinamento non garantisce in via immediata e diretta l'aspirazione dei nonni alla frequentazione dei nipoti, ma offre una tutela soltanto indiretta all'interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori, mediante il riconoscimento della loro legittimazione a sollecitare il controllo giurisdizionale, ai sensi dell'art. 336 c.c., sull'esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza un motivo plausibile impedire i rapporti dei figli con detti congiunti.

Si è ancora osservato che la stessa tutela degli interessi dei figli minori nel processo di separazione, così come in quello di divorzio, che pure costituisce la finalità esclusiva dei provvedimenti che li riguardano, non impone il riconoscimento della loro qualità di parti processuali, essendo rimessa al legislatore, secondo una valutazione ritenuta costituzionalmente corretta dal giudice delle leggi, la scelta degli strumenti di tutela.

Ed invero la Corte Costituzionale, nel dichiarare con la sentenza n. 185 del 1986 non fondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, in relazione all'art. 6 della legge n. 898 del 1970, e dell'art. 708 c.p.c., nella parte in cui non prevedono nelle cause di scioglimento del matrimonio la nomina di un curatore speciale al figlio minore delle parti, in ordine alla pronunzia sull'affidamento e ad ogni altro provvedimento che lo riguardi, ha chiarito che nelle leggi impugnate e nel sistema vigente gli interessi dei figli minori non rimangono senza tutela, ma sono garantiti da una serie di misure che il legislatore ha ritenuto idonee e sufficienti. In particolare, l'intervento obbligatorio in giudizio del pubblico ministero, tenuto ad aver cura degli interessi dei minori esercitando tutte le facoltà a lui consentite, gli amplissimi poteri istruttori del giudice, il potere del Collegio di pronunziare prescindendo dalle richieste delle parti, costituiscono strumenti di tutela degli interessi in discorso la cui adeguatezza resta riservata alla valutazione del legislatore.

Il giudice delle leggi ha altresì osservato che la libera scelta del legislatore di non prevedere che il titolare di detti interessi assuma la qualità di parte del processo con la nomina di un proprio rappresentante appare da un lato del tutto coerente con la natura e l'oggetto dei giudizi di divorzio (così come di quelli di separazione), che non attengono né si riflettono sullo stato dei figli, dall'altro lato non irrazionale, nel raffronto con le diverse ipotesi relative ai giudizi che attengono allo status del minore, in cui è prevista la nomina di un rappresentante del medesimo, e tenuto anche conto che l'attribuzione al minore della qualità di parte del processo varrebbe ad istituzionalizzare il conflitto tra genitori e figli all'interno di quello già esistente tra i genitori.

Come è noto, la legge 8 febbraio 2006 n. 64 ha riconosciuto e valorizzato il ruolo degli ascendenti e degli altri parenti di ciascun ramo genitoriale, affermando all'art. 155, comma primo, c.c. il diritto del figlio minore di conservare, nel regime di separazione personale (o di divorzio) dei genitori, rapporti significativi con i medesimi. È al riguardo opportuno ricordare che la rilevanza ed il valore affettivo ed educativo del vincolo che lega i nonni ai nipoti erano stati da tempo riconosciuti nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che aveva avuto occasione di affermare che l'interruzione dei rapporti fondati su tale legame familiare può trovare giustificazione soltanto in presenza di gravi e comprovate ragioni (v., tra le altre, Cass. 1998 n. 9606).

La disciplina introdotta dalla novella richiamata non vale tuttavia ad incidere sulla natura e sull'oggetto dei giudizi di separazione e di divorzio e sulle posizioni e sui diritti delle parti in essi coinvolti.

Va rilevato al riguardo che il secondo comma dello stesso art. 155 c.c. riformato demanda al giudice l'adozione dei provvedimenti relativi alla prole, per realizzare la finalità indicata dal primo comma, assumendo come esclusivo parametro di riferimento l'interesse morale e materiale della prole.

Come è evidente, l'affermazione del diritto del minore a conservare rapporti significativi con i nonni e gli altri congiunti affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nella articolazione dei provvedimenti da adottare, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata, ma tale elemento attiene pur sempre all'oggetto e all'essenza dell'apprezzamento demandato allo stesso giudice, da svolgere - come già ricordato - sulla base non solo delle deduzioni delle parti, ma anche dell'apporto fornito dal pubblico ministero e degli altri elementi acquisiti di ufficio.

L'avere il legislatore del 2006 sancito la titolarità da parte del minore del diritto alla conservazione delle relazioni affettive con i nuclei di provenienza genitoriale non è dunque sufficiente, in mancanza di una previsione normativa - come quella introdotta con la legge n. 149 del 2001, che ha previsto che nei procedimenti in materia di adottabilità ed in quelli di cui all'art. 336 c.c. il minore sia presente in giudizio assistito da un difensore - a ritenere che altri soggetti diversi dai coniugi siano legittimati ad essere parti.

Del tutto coerentemente l'art. 155 ter c.c., introdotto dalla legge di riforma, attribuisce ai soli genitori il diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni economiche che li riguardano, così come l'art. 709 ter c.p.c. fa riferimento, nel disciplinare la soluzione delle controversie in sede di separazione o di divorzio in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell'affidamento, alle controversie insorte tra i genitori, i quali pertanto restano gli unici soggetti cui è affidata la legittimazione sostitutiva all'esercizio dei diritti dei minori.

In questa prospettiva vanno all'evidenza negate le condizioni richieste dalla legge per l'intervento ad adiuvandum coltivato dagli attuali resistenti, tenuto conto che, come è noto, la legittimazione a detto intervento presuppone la titolarità nel terzo di una situazione giuridica in relazione di connessione - da individuarsi in termini di pregiudizialità dipendenza - con il rapporto dedotto in giudizio tale da esporlo ai c.d. effetti riflessi del giudicato, e che non è configurabile un interesse proprio all'attuazione di un diritto del minore, che nel giudizio non è parte.

Il ricorso deve essere in conclusione accolto e la sentenza cassata e poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi la causa nel merito, rigettando l'appello proposto dai nonni dei minori.

La natura della causa giustifica la compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'appello. Compensa le spese dell'intero giudizio.